Tra gli estratti proveniente dalla resina della cannabis, il più raro e pregiato è la Charas, l’oro nero dell’Himalaya, a causa del lento processo di estrazione.
A differenza dell’hash marocchino che viene prodotto a partire dalle piante essiccate, con diversi processi più o meno tecnologici, questo particolare fumo tipico di India, Afghanistan, Pakistan e Nepal, viene estratto dalla cannabis appena raccolta e lavorato tramite un lento processo manuale, per ottenere un prodotto molto più malleabile, scuro e intenso, sia nell’effetto che nell’aroma.
Ecco tutto ciò che c’è da sapere sulla Charas.
Come fare la Charas
Come abbiamo detto, la Charas viene prodotta tramite una metodologia arcaica e lenta ma non per questo complessa, ovvero attraverso lo strofinamento tra i palmi delle mani delle cime appena recise.
Questo lo rende un metodo perfetto anche per i coltivatori domestici.
La cima viene solitamente recisa a due o tre settimane dalla completa fioritura e poi pulita tramite un’operazione di trimming (che abbiamo spiegato in questo articolo).
Dopo aver lavato accuratamente le mani, con un sapone neutro che non rilasci oli o profumi, si comincia a strofinare delicatamente la pianta tra i palmi, aumentando gradualmente pressione e velocità senza mai eccedere.
Una volta esaurita la resina, e dopo aver spremuto sul palmo ciò che resta della cima per estrarre tutti gli oli essenziali, si procede strofinando tra loro i palmi, così da creare lunghe biscioline di resina.
Infine, raccolto tutto l’estratto dalle mani si realizzano delle palline, da conservare in un contenitore che ne preservi l’umidità.
Un altro metodo, adatto a chi realizza la Charas in casa (e quindi non dispone di un intero raccolto da destinare a questo scopo), consiste nel strofinare le cime non recise, procedendo con delicatezza per non compromettere la pianta, la quale poi arriverà al termine della fioritura per essere raccolta ed essiccata.
In alternativa è possibile realizzare piccole quantità di estratto anche lavorando la resina che si accumula sulle forbici durante la normale potatura.
Un piccolo consiglio: non buttare mai gli scarti del trimming, questi potrebbero essere utili per realizzare altri prodotti (come vi abbiamo spiegato in questo articolo), inoltre si potrebbero inserire piccole quantità di rametti e foglie all’interno dell’impasto di resina, che seccandosi, cominceranno il processo di concia al suo interno, rendendo il Charas molto profumato.
Storia dell’Oro Nero dell’Himalaya
Raccogliendo una pianta di cannabis è impossibile non trovarsi le mani impastate di resina: è quindi facile immaginare come sia stata inventata questa lavorazione, ma non abbiamo fonti certe su quando e come gli abitanti delle montagne himalayane abbiano cominciato a produrre la Charas.
È certo però che l’estratto di cannabis faccia parte della cultura delle popolazioni di queste zone.
Gli induisti del nord dell’India ritengono che la nascita delle piante di cannabis sia da attribuire a Shiva, una delle principali divinità della religione Indù.
Secondo la leggenda, durante la sedicesima reincarnazione, Shiva ebbe la sfortuna di perdere la sua amata Parvati, che lo rinnegò.
Per il dispiacere, Shiva si strappò un seme dalla coscia e lo lanciò sulle montagne dell’Himalaya, dove la pianta cominciò a crescere spontaneamente. Dopodichè per compensare il dispiacere per la perdita della sua amata, la divinità si dedicò a consumare la Charas per non sentire il dolore, fino alla sua morte.
Molti Sadhu indiani tuttora consumano la Charas durante i riti religiosi e per aiutare la meditazione.
Gli Sadhu non sono gli unici a utilizzare questa hashish in India: il consumo della Charas a scopo medico e religioso fa parte della tradizione, tanto che non molto tempo fa era facile trovare questo prodotto nei negozi delle città.
Nonostante questo, sotto pressioni internazionali, negli anni ‘80 l’india bandì il consumo e la produzione della Charas e della cannabis in generale, imponendo sanzioni molto severe.
Questo però non provocò un arresto della produzione: le coltivazioni vennero spostate nelle zone più remote del Paese, inaccessibili alla polizia, e nei luoghi di culto il consumo restò inalterato, costringendo le autorità ad abbracciare lentamente una politica di tolleranza, tutt’oggi persistente.
Varianti della Charas
Poiché la Charas si differenzia per la lavorazione, non è definito da quale genetica deve provenire l’estratto, ma è anche vero che sono proprio le piante da cui è originariamente prodotta ad averne costruito la fama.
La tradizione vuole che la Charas provenga dalla cannabis spontanea delle regioni dell’Himalaya, chiamate jungle, anche se si possono considerare altrettanto pregiate le piante proveniente dalle coltivazione nate nelle stesse aree successivamente al suo successo, denominate baguija.
Le piante, che crescono ad altitudini tra i 2500 e 3600 metri, sono ricche di resina in quanto le condizioni estreme e i continui sbalzi di temperatura obbligano le cime a produrre grandi quantità di questa sostanza protettiva, inoltre hanno proprietà terapeutiche superiori, in quanto i raggi UV, responsabili della produzione di cannabinoidi, sono più forti e persistenti rispetto alle zone a bassa quota.
Tra le varietà più note della Charas ricordiamo sicuramente il Malana Cream, una resina prodotta in una zona geografica molto remota nelle ragione Deldu Himcgal. In un paese di nome Malana si produce tutt’ora una tipologia di Charas molto morbida, quasi cremosa ed estremamente pregiata.
Un’altra variante altrettanto famosa è il Karala Gold, detto anche Idduki Gold, rinomato per l’elevata potenza ma non più disponibile.
La distruzione dei campi da parte della polizia ha portato alla perdita di questa varietà, oggi riprodotta utilizzando un mix composto dalle piante del ceppo originale e di altre genetiche, che però non raggiunge i leggendari livelli di THC del Karala Gold puro.
Come consumare e quali sono gli effetti del Charas
La Charas viene venduta in palline o stecchette ed assunta con chillum, particolari pipe con forme rette e coniche usate tradizionalmente dai seguaci di Shiva, ma anche dai più esperti amanti della Charas
Il rito religioso dei monaci induisti consiste nel caricare la pipa nominando alcuni dei tanti nomi della divinità, per poi accendere il bracere e cominciare la meditazione.
La resina può essere consumata anche sotto forma di biscioline o briciole mischiate con il tabacco, il quale aiuta la combustione oppure unite alla marijuana.
Trattandosi di un estratto della cannabis i suoi effetti saranno gli stessi: rilassamento, euforia, aumento della percezione sensoriale, ilarità e appagamento, ma ovviamente saranno più intensi e duraturi.