La medicina ayurvedica viene praticata da migliaia di anni nel subcontinente indiano, e comprende un ricco patrimonio di conoscenze botaniche e terapeutiche, spesso poco conosciute in Occidente. In questo contesto, la cannabis – nota con nomi come Vijaya, Bhanga o Bhang – occupa un capitolo affascinante e controverso. E non stiamo parlando di miti o esoterismo, bensì di un possibile ponte tra tradizione e modernità…
Ciò che in molti si chiedono, infatti, è come veniva (e come tutt’ora viene) impiegata la cannabis in Ayurveda? E quali sono le proprietà che le venivano e le vengono attribuite? E come si configura oggi il suo uso in una visione evoluta dell’ayurveda? In questo articolo esploreremo questi temi, raccontando sia la tradizione che le pratiche attuali… ma senza tecnicismi inutili, con la leggerezza tipica del blog di Cbweed. Buona lettura!
Potrebbe interessarti anche:
bhang lassi, ricetta della bevanda indiana a base di cannabis e yogurt
Cos’è la medicina ayurvedica indiana
La parola ayurveda deriva da āyus (vita, durata della vita) e veda (conoscenza): potremmo dunque tradurla, semplificandone la complessità, con i termini “conoscenza della vita”. Questa medicina tradizionale – che ha radici nei testi vedici e nei grandi classici come il Charaka Saṃhitā e il Suśruta Saṃhitā – considera la salute come equilibrio tra corpo, mente e ambiente, regolato da tre energie vitali (dette anche dosha): Vāta, Pitta e Kapha.
Secondo l’ayurveda, ogni individuo ha una costituzione unica (prakṛti) e quando qualcuno si ammala si verifica uno squilibrio (vikṛti) nei dosha: il trattamento quindi mira non solo a curare i sintomi, ma anche e soprattutto a riportare l’armonia complessiva nell’organismo. Tra gli strumenti terapeutici si annoverano erbe medicinali, oli, pratiche dietetiche, massaggi, purificazioni (panchakarma), yoga e meditazione.
Il sistema ha una visione “olistica”, considerando che una pianta o sostanza può essere benefica in un contesto e dannosa in un altro, a seconda di dose, purezza, preparazione e compatibilità con la costituzione individuale. Tuttavia, è bene ricordare che l’ayurveda – pur ampiamente praticata in India – è definita «pseudoscientifica» da molti studiosi accademici, soprattutto per la mancanza di prove robuste in diversi casi.
Diversi rimedi ayurvedici sono stati infatti analizzati dai ricercatori in più campi, e non si è mai giunti a concordare la loro completa efficacia né dal punto di vista della medicina occidentale né stando al metodo scientifico: questo fa sì che ogni rimedio tradizionale, per quanto millenario e derivante da prodotti naturali, debba essere preso con proporzione e possibilmente affiancato a valutazioni moderne.
L’uso tradizionale della cannabis nell’Ayurveda
Nell’ayurveda classica la cannabis è chiamata Vijaya (che significa “quella che conquista”) oppure Bhanga/Bhang. Vijaya è considerata una delle erbe più potenti, ma anche un elemento da utilizzare con molta cura per via della sua potenza intrinseca. Nei testi ayurvedici e in tradizioni orali la cannabis era inserita in diversi rimedi, spesso come ingrediente complementare insieme ad altre erbe più miti; In alcuni casi era usata per promuovere il sonno, alleviare il dolore, ridurre lo stress e lenire disturbi digestivi.
Un dettaglio importante risiede nel fatto che la cannabis “grezza” (e dunque le sue foglie, i suoi semi e la sua resina) non veniva assunta così come veniva raccolta: prima di essere impiegata medicinalmente doveva infatti essere purificata (un procedimento che in ayurveda viene chiamato śodhana) per ridurre gli effetti indesiderati. Il processo includeva lavaggi, bolliture con latte, uso di erbe correnti e fasi di friggitura.
La tradizione ayurvedica attribuiva alla cannabis una capacità di bilanciare le energie vitali denominate Vāta e Kapha, ma con cautela, perché poteva aumentare la terza energia conosciuta come Pitta (letteralmente “calore”). In molti testi della tradizione viene specificato che le dosi devono essere ridotte e che un uso eccessivo o non purificato può portare a effetti “avversi” (ed è facile immaginare che si riferissero ai ben noti effetti del THC).
Benefici della cannabis secondo la tradizione ayurvedica
Secondo la visione tradizionale, la cannabis (Vijaya/Bhanga) può essere usata per ottenere diversi benefici. Proviamo ad elencare i principali:
- Sonno e rilassamento: uno degli usi più comuni della nostra pianta preferita, oggi come allora, era proprio per favorire il sonno nei casi di insonnia lieve… sempre in dosi controllate, ovviamente.
- Alleviare il dolore e le infiammazioni: in molte formule anti-dolorifiche o per dolori muscolo-scheletrici era presente il Vijaya come “potenziatore”.
- Stimolare l’appetito e digestione: in alcune formulazioni il bhanga era ritenuto utile contro inappetenza o dispepsie, sostenendo “Agni” (ossia il “fuoco digestivo”).
- Equilibrare dosha: l’uso era pensato per correggere squilibri specifici, in particolare l’eccesso di Vāta o Kapha.
- Proprietà nervine e psichiche: in versioni moderate la cannabis veniva considerata un “tonico nervino”, utile per disturbi leggeri dello stress, ansia o depressione.
È importante sottolineare che questi benefici non equivalgono in alcun modo a prove cliniche contemporanee e approvate dalla medicina propriamente detta: sono attribuzioni della tradizione, basate sull’esperienza, sulla filosofia ayurvedica e su testi antichi. Tuttavia, l’idea che una pianta potente debba essere “purificata”, dosata con saggezza e combinata con altre erbe è un principio affascinante che risuona anche con la farmacologia moderna.
Preparazioni e pratiche ayurvediche con la cannabis
Le preparazioni tradizionali con cannabis erano varie e passavano da alcune più semplici ad altre particolarmente elaborate. Andiamo rapidamente ad esplorarne alcune:
- Bhang: probabilmente la forma più conosciuta, un preparato alimentare (bevanda o cibo) a base di foglie di cannabis macinate, mescolate con latte, spezie e dolcificanti. Nel contesto ayurvedico il bhang veniva preparato dopo purificazione e usato con scopi rituali o medicinali.
- Elisir o decotti: cannabis purificata utilizzata in dravya (preparati liquidi), miscelata con erbe toniche, spezie calde e veicoli oleosi (ghee, oli) per aumentarne il potere terapeutico.
- Ghee medicato: in alcune preparazioni la cannabis purificata veniva fritta in ghee (burro chiarificato) con erbe aggiuntive, secondo pratiche tradizionali.
Polveri (Churna): foglie o erbe miscelate in polvere fine, assunte con miele, latte o altre parti formulative. - Uso esterno: impacchi, unguenti o applicazioni locali con cannabis purificata per dolori muscolari, infiammazioni o condizioni cutanee leggere.
Un punto chiave che va ribadito: la purificazione (śodhana) era indispensabile. Senza questo passaggio la pianta veniva considerata dannosa, per questo alcuni testi suggeriscono la bollitura in latte o decotti di legni purificanti per più ore, seguiti da essiccazione. Anche il contesto rituale importava: spesso la somministrazione avveniva in momenti propizi, con mantra, meditazione o sotto la guida di un guaritore esperto.
Cannabis oggi nella moderna visione ayurvedica
Negli ultimi decenni la medicina ayurvedica ha cercato di conciliare tradizione e scienza moderna. Anche nel caso della vi sono ormai diverse scuole di pensiero che cercano di includerla come “fitoterapico potente”, seppur da usare col dovuto rigore. Alcuni centri ayurvedici propongono inoltre formulazioni moderne di cannabis purificata integrate con estratti, dosaggi standardizzati e controlli di laboratorio
L’idea è quella di offrire determinati benefici naturali e tradizionali con maggiore sicurezza e trasparenza. Nel frattempo, in India il bhang è tutt’oggi presente in veste di bevanda rituale o terapeutica controllata (si pensi ad esempio all’uso che se ne fa durante il festival di Holi) ed è soggetto a regolazioni statali; tuttavia non è ancora diffuso un sistema integrato che riconosce la cannabis come “erba medica ayurvedica” nella medicina ufficiale.
Le controversie legali, le restrizioni internazionali sulla cannabis e la carenza di studi clinici robusti limitano questa evoluzione. Da un punto di vista moderno, la cannabis ayurvedica è vista come un potente coadiuvante, da usare solo in contesti regolamentati e con competenza; alcuni esperti suggeriscono che solo estratti precisi possano essere accettabili nelle cliniche moderne basate sull’ayurveda evoluta: il dibattito su questo tema, insomma, non sembra voler cessare nonostante i secoli di storia.