La notizia ha fatto il giro del mondo ed è partita proprio dall’Italia: un’equipe di ricercatori ha fatto la pazzesca scoperta di un nuovo cannabinoide, il THCP, composto psicoattivo che sembrerebbe essere 33 volte più potente del THC. Questa novità apre le porte a tante possibilità terapeutiche e soprattutto ci da la conferma che la cannabis possa offrire, con la giusta conoscenza, infinite risorse che nemmeno sospettiamo.
Tetraidrocannabiforolo: di cosa parliamo?
La nuova sostanza che è già sulla bocca di tutti gli scienziati impegnati nella ricerca sulla cannabis si chiama THCP. Il tetraidrocannabiforolo è l’ultimo tra i cannabinoidi scoperti all’interno della cannabis Sativa e quello che attualmente promette grandi cose. È stato scoperto, isolato e studiato da un’équipe di ricercatori italiani riferenti all’Università di Modena e Reggio Emilia che hanno svolto la loro ricerca in collaborazione con il CNR-Nanotec di Lecce, la sezione di Farmacologia dell’Università della Campania e il Dipartimento di Chimica dell’Università La Sapienza di Roma. Il loro prezioso studio è stato pubblicato sulla rivista Scientific Reports, un rinomato giornale on line specializzato in ricerche mediche e scientifiche di primo ordine. Gli autori della ricerca hanno isolato anche un altro cannabinoide, il Cbdp, notizia che è per ora passata un po’ in sordina, per ovvi motivi visto che il THCP pare essere davvero il capostipite di una rivoluzione.
Lo studio nella sua parte più discorsiva racconta di quanto la cannabis sativa sia tuttora considerata una pianta controversa potenzialmente magnifica e pericolosa. Per anni è stata la sostanza illecita più diffusa al mondo e ora è motivo di scontro legislativo e la fonte di composti farmaceutici innovativi per il trattamento di molte patologie come epilessia, sclerosi multipla, dolore cronico, ma anche un promettente aiuto contro malattie psichiatriche, ansia, depressione e insonnia.
Fino ad ora i cannabinoidi più studiati sono stati CBD e THC (anche se oggi il CBG sta prendendo molto piede), di questi due solo l’ultimo è un principio psicoattivo e che quindi può generare effetti psicotropi. Oggi invece i ricercatori dell’università di Modena e Reggio Emilia hanno scoperto un altro cannabinoide che avrebbe, secondo i loro riscontri, un effetto psicotropo molto più potente. Si parla addirittura di un’efficacia 33 volte maggiore al THC per questa sostanza che è stata già testata in vitro e in vivo (su topi). I risultati delle analisi di laboratorio sono decisamente promettenti e attendono di essere sviluppati in studi ancora più complessi perché la sostanza possa essere testata anche in altri modi e dimostrarsi adatta a scopi farmacologici. Giuseppe Cannazza, uno degli autori dello studio ed esperto del dipartimento di Scienze della vita all’Università di Modena e Reggio Emilia e del Cnr Nanotech di Lecce parla con entusiasmo della ricerca, raccontando che l’interesse nei confronti della composizione chimica della cannabis può essere davvero importante per il futuro della scienza medica. Per questo studio la sua equipe ha lavorato sulla Fm2, la cannabis prodotta in Italia dallo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze e il risultato ha portato alla scoperta di un composto potenzialmente più psicoattivo del Thc. Questa ipotesi è stata dettata dalla capacità della sostanza di interagire con i recettori dei cannabinoidi in modalità circa 33 volte più efficace rispetto al Thc. I test in vivo sembrano aver confermato questo risultato in vitro, infatti è stato somministrato il THCP a topi da laboratorio ed è stato osservanto che questo è ugualmente attivo ma dosi molto più basse.
Possibili applicazioni del THCP
Ovviamente questo esperimento non basta a dimostrare che la stessa situazione possa manifestarsi anche per la somministrazione sugli umani, ma se così fosse ci si troverebbe ad avere per le mani un THC super potenziato che potrebbe essere molto interessante per le sue applicazioni in ambito medico (pensate alla possibilità di ottenere risultati con concentrazioni molto minori di cannabinoidi!). I passi da muovere per passare dalla teoria alla pratica sono numerosi ancora. Per prima cosa sarà necessario trovare tipologie di cannabis che producano percentuali maggiori di THCP, perché in quella analizzata proveniente dallo stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze la concentrazione di questa molecola è davvero limitatissima. Poi sarà necessario capire se ciò che è successo ai topi succederà anche agli esseri umani. Ovviamente lo studio dovrà procedere con grande cautela visto che non saranno accentuati solo gli effetti positivi del THC ma anche quelli considerati come potenzialmente pericolosi, ovvero gli effetti collaterali tipici della componente psicoattiva della cannabis che oramai ben conosciamo.
Sull’altro componente isolato, che è stato chiamato CBDP, si sa ancora poco ma il gruppo di studiosi (finanziamenti permettendo) vorrebbe continuare lo studio per l’individuazione di cannabinoidi sconosciuti visto che le varietà di cannabis nel mondo sono tantissime e ognuna potrebbe nascondere una sostanza dalle applicazioni rivoluzionarie. Noi intanto siamo curiosissimi di vedere se la ricerca sul THCP porterà da qualche parte e sogniamo di venire contattati per diventare le prossime cavie umane da laboratorio nel test del super cannabinoide.