lo scorso 19 dicembre le sezioni unite penali della Corte di Cassazione sembrano aver stabilito che coltivare marijuana a casa propria, in piccole quantità, per uso personale non costituisce reato. Una sentenza molto attesa soprattutto per chi da anni rivendica il diritto di potersi curare con la cannabis e di godere liberamente dei benefici delle infiorescenze fai da te.
Ma quali sono i termini di questa decisione tanto acclamata? Come stanno realmente le cose?
La sentenza è stata accolta con grandissimo entusiasmo ma è necessario fare un po’ di chiarimenti e sottolineare che questo non significa affatto che la legge sia cambiata e la coltivazione di cannabis sia stata definitivamente legalizzata. È molto importante, per non incorrere in sanzioni penali anche gravi, informarsi molto bene su quello che si può o non si può fare in Italia con un seme di cannabis, perchè ovviamente non è tutto rose e fiori (un po’ come sempre le contraddizioni e le incertezze sono sempre dietro l’angolo!).
La Cassazione si è pronunciata sulla coltivazione casalinga di marijuana in seguito a un ricorso presentato in ottobre del 2019 e la decisione presa in questo momento sarà in grado di influenzare probabilmente in modo solido molti casi giuridici pendenti e futuri riguardanti l’argomento della produzione fai da te di infiorescenze.
È molto importante sottolineare che però le sentenze della Cassazione in generale non hanno valore vincolante per i casi per le quali non sono state specificatamente formulate, ma che per gli altri casi rappresentano comunque un valido punto di riferimento per le decisioni giudiziarie. In pratica questo significa che saranno ancora i giudici a decidere a seconda del giudizio personale e dei dati specifici di ogni caso se aderire o meno alla scelta delle sezioni unite della cassazione e ritenere lecita la coltivazione di cannabis secondo i limiti definiti da tale sentenza.
I limiti della sentenza sulla coltivazione autonoma di cannabis
Ma cosa dice in pratica questa sentenza? Tutti liberi di coltivare marijuana per la famiglia e gli amici? Ci spiace ma non è così… quindi frenate il vostro pollice verde e tenete ben presente che in base alle parole della Cassazione non costituisce reato l’attività di coltivazione di minime dimensioni solo se svolta in ambito domestico, con tecniche rudimentali e i cui frutti (o, più propriamente, i cui fiori) vengano consumati solo dal coltivatore stesso. Questi sono i parametri che la sentenza ha ritenuto legittimi, non sono però paletti definitivi, quindi non prendeteli come legge. In poche parole: quello che vale in questo caso non è detto che valga anche per gli altri.
Fatto sta che prima di questa sentenza la legislazione additava questo tipo di attività come reato – perché coltivando questa particolare pianta si aumentava automaticamente la quantità di droga in circolazione e quindi si finiva per contribuire a prescindere dall’intento al fenomeno dello spaccio – mentre ora, almeno in qualche caso, non è più così e c’è speranza che le cose d’ora in avanti vadano per questa strada (diciamo più libertina nei confronti della coltivazione domestica ad uso personale). Già da un po’ di tempo detenere piccole quantità di marijuana non è più un reato ma solamente un illecito amministrativo (grazie all’abrogazione della legge Fini-Giovanardi) ma prima di questa sentenza per chi coltivava Marijuana per uso personale c’era ben poca pietà in tribunale dove persone trovate in possesso di poche piantine coltivate magari sul balcone di casa si trovavano ad essere condannate per spaccio.
Il perché di questo cambiamento di orientamento da parte della cassazione non è ancora chiaro: si attendono le motivazioni della decisione che devono ancora essere depositate.
Il testo della sentenza
Ecco cosa è stato detto dalla cassazione il 19 dicembre 2019
“Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente… Devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale … le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che – per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti – appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”.
Cosa si può fare e cosa no quando si coltiva marijuana in casa
Risulta chiaro dalle parole della Cassazione che la cannabis debba essere coltivata non per la vendita ma per uso personale, addirittura viene sottolineato che la legittimità di tali coltivazioni è correlata anche al fatto che a fruirne sia solo e unicamente chi se ne prende cura fisicamente. Quindi se volete coltivare cannabis per la vostra nonnina dolorante secondo questo testo potreste essere nel torto visto che non viene leggittimata la destinazione ad altri componenti della famiglia. Poi il testo parla di tecniche “rudimentali”, che caratterizzerebbero una coltivazione casalinga ed escluderebbero un sistema più professionale destinato alla vendita. Cosa poi si intenda per tecniche di questo tipo non è chiaro, un sistema di irrigazione o la presenza di lampade può mettere il coltivatore nei guai? Tutto è possibile!
E per quanto riguarda il livello di THC? Anche qui la situazione appare decisamente nebulosa perché non viene specificato il livello ammesso di tetraidrocannabinolo, ovvero il cannabinoide proibito dalla legge italiana per i suoi effetti psicoattivi. Se per la cannabis light, considerata legale, la legge tollera un livello massimo di THC pari allo 0,6% attualmente la Cassazione non ha imposto limiti percentuali per chi ha deciso di coltivarla in casa per uso personale, dato davvero interessante che ci spinge a sperare in un futuro di maggiore tolleranza nei confronti della cannabis.