Pietro La Grassa, un 55enne di Tavoleto in provincia di Urbino, coltivava marijuana nell’orto della madre a sua insaputa.
A causa di 2 piantine, trovate tra la lattuga e i pomodori dagli inquirenti nel settembre del 2017, l’uomo era stato accusato di produzione di sostanze stupefacenti.
Pietro però non produceva “droga”, anzi era stato spinto a iniziare la coltivazione per beneficiare degli effetti curativi che la cannabis apporta contro la schizofrenia autistica che gli era stata diagnosticata, la quale gli causava attacchi psicotici e manie di persecuzione.
L’uomo aveva assunto psicofarmaci per circa 7 anni prima di riconoscere i benefici della marijuana: chi ha avuto a che fare con questo tipo di medicinali sa che molto spesso possono causare effetti collaterali a lungo termine: tra quelli più gravi, l’assuefazione e l’abuso, che arrivano inesorabili con il tempo.
Dopo aver provato l’effetto terapeutico della cannabis, La Grassa si rese conto di aver trovato una soluzione differente ma funzionante per curare la propria malattia, notando l’abissale differenza tra i medicinali che lo facevano sentire sempre assente e molte volte peggio di prima, e questa pianta che lo rendeva più rilassato e aveva nettamente migliorato la qualità del suo sonno.
Considerando le svariate buone motivazioni dell’uomo e l’incoerenza tra il quantitativo di piante e la “produzione di droga” contestatagli al momento dell’arresto, il tribunale di Urbino ha dichiarato la non fondatezza della vicenda respingendo la richiesta della pm Enrica Pederzoli, di 4 mesi di reclusione più una multa di 1.500 euro.
L’avvocato di La Grassa ha spiegato che i semi erano stati comprati in uno shop di canapa legale a Cattolica, dove il personale presente al momento dell’acquisto non ha informato Pietro delle conseguenze legali nelle quali avrebbe potuto imbattersi.
Le analisi tecniche hanno fatto maggior chiarezza sul prodotto che sarebbe derivato da queste 2 piantine, le quali, al momento del sequestro, avevano un peso di circa 55 grammi e una percentuale di THC del 3,7%, superando quindi il limite di 0,6% concesso attualmente dalla legge.
L’avvocato Gilberta Arcangeli ha evidenziato quanto fosse difficile per l’uomo, inesperto, utilizzare delle infiorescenze con tali percentuali come articolo da spaccio.