I cannabis shop a Milano continuano ad aumentare, approcciandosi a una linea di pensiero totalmente diversa da quella di altre città e raggiungendo un numero di circa 60 negozi nell’arco di un anno, costruendo così una realtà economica tra le più vaste d’Italia.
Sappiamo bene che Milano è protagonista di uno spiacevole ed ampio mercato di spaccio, forse uno tra i più difficili da gestire in Italia, ma grazie alla normativa 242/16 c’è stato un grande calo di attività che ha portato numerosi benefici a tutto il milanese, soprattutto nelle zone con più degrado.
Un business giovanile, pieno di grinta e voglia di crescere sviluppando nuovi progetti e rinnovando sempre di più i prodotti derivati dalla canapa. Qualcuno dice che sia una buona occasione per scappare dalla disoccupazione e dal precariato che si sta diffondendo da anni in Italia.
Quindi, nonostante quello che dice il Ministro degli Interni Matteo Salvini, questa economia continua inesorabile il suo cammino con dati che illustrano una crescita del mercato del 75%, senza contare l’aumento di manodopera che c’è dietro ad ogni attività, come quella delle aziende agricole che dall’anno scorso ad oggi hanno raggiunto quota 5 mila ettari.
Un mercato in continua crescita insomma, che in un paio di anni ha permesso di collocarci, nonostante gli altri paesi europei abbiano legalizzato la cannabis prima di noi, al 4° posto nel continente, con circa 2500 produttori di canapa e derivati.
Questi sono dati importantissimi, che provengono da tutto il territorio italiano, e che sono a favore dell’economia italiana e dell’occupazione, perché, come detto prima, c’è tanta manodopera dietro che dà lavoro circa a 10mila persone in tutta Italia; ci sono importanti cambiamenti a livello di guadagno delle associazioni a delinquere e/o mafiose alle quali sono stati tolti dai 90 ai 170 milioni di euro, grazie alla legalizzazione del commercio della cannabis light dallo 0.2% allo 0.6% di THC; la vendita illegale è diminuita del 14% secondo i dati raccolti; gli arresti di persone minorenni connessi a questo commercio sono diminuiti. Tali dati sono stati forniti da Vincenzo Carrieri, docente dell’Università della Magna Grecia, e Francesco Principe, della Erasmus School of Economics di Rotterdam, che hanno preso in considerazione i rapporti delle forze dell’ordine locali.
Dunque ci ritroviamo davanti a delle cifre da record in tempi brevissimi, nonostante le bufere propagandistiche di Salvini sul mercato “nocivo” della cannabis: e pensare che l’Italia, alla fine degli anni ’40, era il secondo produttore mondiale, secondo solo a causa dello spazio “ridotto” in confronto all’Unione Sovietica, di cannabis sativa, grazie alle condizioni climatiche e ai terreni fertili.
C’è una speranza però a riguardo, ovvero quella del ritorno all’utilizzo della canapa nelle industrie, strada verso la scomparsa inesorabile dell’uso dei derivati del petrolio, così inquinanti e nocivi per l’ambiente.