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Cannabis Light: perché la sentenza del 30 maggio sarà storica

Manca sempre meno al fatidico verdetto della Corte di Cassazione sul destino della Cannabis Light.

Giovedì 30 maggio le Sezioni Unite si pronunceranno finalmente sullo spinoso tema che continua dividere a metà il Paese.
Nonostante le minacce ricevute nelle ultime settimane dal Ministro degli Interni Salvini, non sarà la politica a decretare la legittimità di produzione e vendita di Cannabis Light, bensì la giustizia.

Quello che tutti si aspettano il 30 maggio è un chiarimento definitivo su come muoversi all’interno di questo mondo, sia per i consumatori ma anche e soprattutto per i produttori.
Un business, quello della cannabis light, che in meno di 3 anni ha prodotto un fatturato di circa 150 milioni di euro, creato 10 000 posti di lavoro e rimesso a coltivazione più di 3000 ettari di terreno: parliamo di un settore florido che ha bisogno di supporto e non astio da parte dello stato, per continuare nel processo di risollevamento e ampliamento dell’economia del Paese.

Secondo quale legge la cannabis light è legale in Italia?

Attualmente è la legge 242 del 2016 a regolamentare la coltivazione del prodotto, senza però esprimersi in maniera chiara sulle modalità di commercializzazione dello stesso.
Il limite di THC concesso è 0,2% con una tolleranza estesa a 0,6%, ma per la suddetta ambiguità all’interno della normativa, fino ad oggi le varie sezioni della Cassazione hanno espresso sentenze differenti sullo stesso argomento, inconveniente che ci auguriamo venga risolto dopo il verdetto definitivo del 30 maggio.
In questo modo, commercianti e consumatori saranno finalmente tutelati a dovere e potranno fare riferimento a una legge trasparente e comprensibile.
Il presidente di AICAL (Associazione Italiana Cannabis Light), Riccardo Ricci, riguardo questo argomento dichiara: “Se dovessero cambiare i limiti imposti precedentemente provocherebbero un danno economico senza precedenti in un settore in pieno sviluppo. Gli agricoltori devono essere tutelati e devono avere certezze per la coltivazione, le regole non possono cambiare in corso d’opera.”

Ma ci sono anche altri punti su cui speriamo la Cassazione si esprima in modo chiaro.

Innanzitutto, la definizione d’uso del prodotto incriminato, la Cannabis Light.
Ad oggi, viene venduto come prodotto da collezionismo o da ricerca di laboratorio, non si parla cioè di combustione o consumo umano di alcun genere.
Il consiglio di Aical è che si rifacciano alla legge che regolamenta la vendita delle sigarette elettroniche per un mercato libero.
Come ricorda l’avvocato Giacomo Bulleri, la liceità della vendita viene già espressa nella legge 242/16, ora è giunto il momento di superare questo paradosso e dare indicazioni chiare a chi desidera commercializzare il prodotto.
Sì, perchè è possibile acquistare la cannabis light, oltre che nei cannabis shop specializzati, anche all’interno delle attività più disparate quali bar, edicole e tabacchini, spiega Riccardo Ricci.
“Non c’è dubbio che il prodotto più acquistato sia questo, ma nel nostro interesse c’è anche e soprattutto una sensibilizzazione culturale su una pianta che può apportare importanti benefici sotto tantissimi aspetti.”

Tra i dubbi che la legge 242/16 non chiarisce c’è anche il ruolo di infiorescenze e resine, che non vengono mai menzionate lasciando perciò spazio alla libera interpretazione di chi si appella alla normativa.

Speriamo davvero che la sentenza della Cassazione del 30 maggio possa fare luce una volta per tutte e non ci costringa a retrocedere culturalmente e commercialmente, modificando e restringendo le soglie di tolleranza.

Cannabis Light perché sentenza trenta maggio storica

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