Gli alimenti a base di canapa sono sul mercato da tempo e hanno molti appassionati a sostenerli, tra cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Se fino ad ora le norme per il THC negli alimenti potevano essere fraintese oggi non ci sono più dubbi grazie a un decreto che fissa i limiti di tetraidroccabinolo nel cibo. Ma vediamo perché questa pubblicazione da parte del Ministero della Salute è solo una mezza vittoria per commercianti e consumatori. Attenzione, il Decreto è stato approvato a Novembre, ma pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e quindi reso pubblico solo qualche giorno fa.
Arriva una conferma di carattere normativo per la cannabis a tavola, attraverso la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto 4 Novembre 2019 del Ministero della Salute relativo alle quantità massime di tetraidroccabinolo concesse negli alimenti a base di canapa. Certo già c’era abbondanza di prodotti alimentari ottenuti dalla pianta ma fino a oggi non erano ancora stati fissati limiti chiari per il contenuto di cannabinoidi psicoattivi all’interno di questi cibi. ∫a oggi quindi nessuno potrà più dubitare della legittimità di semi, farine olio e prodotti alimentari derivati dalla canapa i cui commerci e consumi hanno proliferato negli ultimi anni per la scoperta dei pregi della pianta come alimento salutare. Ebbene questi ora dovranno rispettare dei limiti specifici indicati dalla nuova normativa.
Coldiretti ne ha fatto un grande annuncio, spiegando che con questa mossa il Ministero avrebbe dato “risposte alle centinaia di aziende agricole che hanno investito nella coltivazione di questo tipo di pianta” visto che nel settore “i terreni coltivati in Italia in cinque anni sono aumentati di dieci volte, passando dai 400 ettari del 2013 a quasi 4000 nel 2018”. Per i rappresentanti della Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti “l’attesa pubblicazione in Gazzetta fa chiarezza su un settore che negli ultimi anni ha visto un vero e proprio boom. Un tipo di coltivazione che si estende in tutta Italia, un vero e proprio ritorno visto che fino agli anni 40 gli ettari dedicati erano quasi 100 mila” ed è una grande conferma per i coltivatori che hanno deciso di fare della cannabis il loro futuro. Ma vediamo di capire bene cosa dice la pubblicazione e perché non ci è sembrata tutta questa grande vittoria almeno per commercianti e consumatori.
Un decreto che non dice niente di nuovo e non affronta i temi più importanti
Il 15 gennaio 2020 è stato pubblicato, in Gazzetta Ufficiale, il Decreto che dichiara i limiti consentiti di THC (cannabinoide psicoattivo presente nella pianta di canapa, soprattutto nelle infiorescenze) all’interno dei prodotti per il consumo alimentare. Vi ricordate la stracitata legge n° 242 del 2016 (ne parlavamo in questo articolo)? Questa norma approvata con lo scopo di promuovere la coltivazione di canapa e le varie filiere di trasformazione ad essa collegate, è famosa per aver dato il via libera anche alla coltivazione per florovivaismo e per aver reso possibile la coltivazione in territorio italiano di colture di canapa provenienti da sementi certificate a livello europeo con un contenuto di THC inferiore a 0,2%.
Allo stesso tempo la legge n. 242 alzava la soglia di tolleranza (in caso di controllo sul THC) allo 0,6%. Qui si parlava però di sementi, mentre ancora non erano specificati i livelli concessi di THC ammessi negli alimenti che, su richiesta del Ministero stesso della Salute, sarebbero dovuti essere specificati entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della suddetta legge. Dopo ben 3 anni (che hanno visto comunque proliferare gli alimenti a base di canapa – anche grazie alla più “antica” circolare del 22/05/2009 che regolamentava la produzione e la commercializzazione di prodotti a base di semi di canapa per l’utilizzo nei settori alimentari) è arrivato il nuovo decreto che stabilisce che i semi di canapa, le farine e gli alimenti derivati, possono contenere al massimo 2 mg di THC per chilo, pari allo 0,002%; invece l’olio ottenuto da semi di canapa deve avere al massimo 5 mg per chilo, ovvero lo 0,005%. La classificazione definita non è affatto diversa da quella che era stata ipotizzata anni fa in una bozza di decreto dal Ministero della Salute, era quello che da tempo ci si aspettava e che praticamente già si metteva in pratica ma con qualche incertezza in più.
Bisogna sottolineare anche che al momento l’elenco dei cibi regolamentati riportato nell’allegato al decreto comprende solo semi, farine e olio anche se pare che verrà aggiornato in base alle esigenze e alle nuove ricerche scientifiche (sicuramente sarà un aggiornamento con i soliti tempi biblici).
Cosa ci lascia davvero con l’amaro in bocca? Il fatto che i semi di canapa e ciò che se ne ricava (come l’olio e le farine), hanno naturalmente livelli bassissimi di tetraidrocannabinolo e in generale di cannabinoidi, che sono invece presenti più che altro all’interno delle infiorescenze delle piante femminili che non sono nemmeno citate di striscio dal decreto. Sembra proprio che questa parola faccia una bella paura, come se metterla per iscritto in un documento legale possa fa saltare qualche testa.
Invece le infiorescenze sono una fetta molto importante per le vendite, a livello alimentare oltre che per altri tipi di assunzione, pensate alle tisane ad esempio. Inoltre non ci sono novità per altri prodotti importanti come quelli per la cosmesi e gli olii al CBD, richiestissimi dai consumatori ma ancora poco considerati a livello di legittimazione legale. Insomma, dopo questo decreto, si continuerà esattamente come ieri a produrre, vendere e consumare semi, farine, olio di canapa con bassi livelli di THC ma senza grandi novità all’orizzonte per argomenti davvero caldi, come le infiorescenze.
Quanto dovremo aspettare ancora per avere leggi più specifiche, coerenti e realistiche a questo proposito?