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Cannabis light e CBD: tracce nel sangue, capelli e urine per controlli sul lavoro

Controlli antidroga: come si comportano cannabis light e CBD

La cannabis legale italiana, o cannabis light, è una tipologia di infiorescenze di cannabis che è stata prodotta, analizzata e certificata come “a basso tenore di THC”. Ma consumare cannabis light può creare problemi a chi per lavoro viene sottoposto a controlli antidroga? In questo articolo vi spiegheremo come funzionano i test per la ricerca di sostanze stupefacenti e psicoattive eseguiti sul lavoro e parleremo dei rischi lavorativi correlati al consumo di cannabis light.

La sostanza incriminata: il THC

Per prima cosa parliamo del vero protagonista di controlli e sanzioni quando si parla di cannabis: il THC. Ad essere rilevabile e soggetto a penalizzazione all’interno della cannabis light c’è solo un cannabinoide, il tetraidrocannabinolo, ovvero la molecola psicoattiva della cannabis nonché la principale responsabile del cosiddetto sballo da marijuana. La controparte totalmente legale e non rilevata dai test antidroga (proprio perché non psicoattiva) è invece il cannnabidiolo, detto anche CBD, una sostanza molto considerata in medicina per i suoi poteri antinfiammatori, rilassanti e antidolorifici. Mentre per il CBD non ci sono limiti legali, il THC nella cannabis legale in Italia deve per legge avere una percentuale al di sotto dello 0,2% (con una tolleranza fino allo 0,6%). Al di sopra di questi valori si parla di cannabis illegale nonché di sostanza stupefacente. Altro concetto da specificare è che per lo Stato italiano la cannabis light non è attualmente un prodotto commercializzato per essere fumato, ingerito o vaporizzato, poiché ancora lo stato non si è espresso positivamente sul consumo a scopo ricreativo della cannabis light creando non pochi problemi ad un business che oramai è scoppiato e si è imposto nel mercato da anni senza avere alle spalle una legislazione ben definita.
C’è chi (contro la legge) fuma la cannabis light e si preoccupa della possibilità di avere problemi in caso di controlli antidroga sul lavoro. Questa è una preoccupazione assolutamente lecita perché la cannabis light contiene un tenore “basso” di THC, ma comunque non nullo al 100%.

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Le categorie di impieghi che prevedono controlli sul lavoro

Chi può essere controllato al lavoro per i valori di THC presenti nel sangue?
I controlli per la presenza nel sangue e nelle urine di sostanze stupefacenti o psicotrope riguardano diverse categorie di lavoratori, soprattutto addetti a mansioni che comportano particolari rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute proprie e di terzi. Si tratta in particolare delle attività inerenti il settore trasporti e gli addetti alla guida di macchine movimentazione merci, di chi maneggia sostanze e materiali potenzialmente pericolosi o ad esempio di molti professionisti dell’ambito sanitario. I controlli sono spesso a discrezione del datore di lavoro, in alcuni casi vengono effettuati per tutti gli impiegati o liberi professionisti all’assunzione, ripetuti a cicli continui durante il periodo di permanenza in un certo ambito lavorativo o effettuati a sorpresa.

Dai mulettisti, agli operatori delle fabbriche di fuochi d’artificio, fino agli infermieritantissimi lavoratori potrebbero essere selezionati per test antidroga a campione e correre dei seri rischi se trovati positivi al THC con livelli al di sopra di quelli consentiti dalla legge.

Gli esami per la ricerca di THC

Purtroppo anche la cannabis legale può esporre a dei rischi perché, sebbene il livello di THC sia relativamente basso, il suo accumulo nel corpo varia moltissimo a causa di fattori personali, come per esempio il metabolismo e il sistema di escrezione.

Il test svolto con più frequenza sul luogo di lavoro per la ricerca di tracce di sostanze stupefacenti è l’esame delle urine, un esame di laboratorio che può rilevare nel campione raccolto la presenza di tracce di THC-COOH, ovvero un catabolita (sostanza di scarto) del THC che permane nel corpo anche diverse settimane dopo l’assunzione di cannabis. Questa sostanza non è psicoattiva e quindi la sua presenza dice solo che in un passato non ben definito la persona ha introdotto nel proprio corpo THC. A un’eventuale positività la politica aziendale spesso suggerisce un secondo controllo, ovvero gli esami del sangue che sono quelli più attendibili nel rivelare un uso recente di cannabis con accumulo di THC. Infatti nel sangue si va a ricercare l’attuale presenza di tetraidrocannabinolo e non quella dei suoi cataboliti. In questo modo è possibile attestare se al momento del controllo la persona è effettivamente sotto l’effetto di sostanze psicoattive o se lo è stata in tempi recenti. Il test del capello, meno praticato perché piuttosto dispendioso e meno utile, non registra la presenza di residui psicoattivi di THC, ma può dire se la persona è una consumatrice assidua di cannabis.

Per quanto tempo il THC rimane nel corpo?

È importante ricordare che tempo di permanenza del THC e dei suoi residui nel corpo dipende molto dal tipo di test che viene effettuato, oltre che da una naturale predisposizione del corpo ad accumulare o smaltire le tracce di cannabinoidi. Per gli esami delle urine sono necessarie almeno 3 o 4 settimane di completa astinenza per non avere positività, per gli esami del sangue bastano per alcune persone solo 12 ore per non avere tracce, mentre per altre (soprattutto per i fumatori abituali) il THC può continuare a comparire anche a distanza di 48 ore dal consumo; non è raro trovare tracce nel sangue anche a distanza di una o due settimane. Ulteriori differenze si possono poi riscontrare a seconda della metodologia di test utilizzati dal laboratorio alla quale viene fatto analizzare il campione, infatti alcuni valutano la concentrazione nel sangue intero mentre altri solo nel plasma.

Attenzione alla politica a tolleranza zero

In molti paesi europei, Italia compresa, viene applicata la politica di tolleranza zero per i lavoratori trovati positivi al THC che vengono ritenuti colpevoli (anche penalmente in caso di incidente) di aver operato in condizioni pericolose per sé o per gli altri e quindi, secondo la politica di molte aziende, licenziabili. Se il soggetto consuma cannabinoidi non psicoattivi come la cannabis light i test delle urine e del sangue dovrebbero di norma avere esito negativo, ma un consumo molto sostenuto e continuo nel tempo o una predisposizione all’accumulo di cannabinoidi potrebbero variare l’esito in modo infausto per il lavoratore sottoposto a controlli. Per questo motivo anche se la cannabis light contiene livelli bassi di THC vi consigliamo di essere prudenti e valutare il fatto che, ad un eventuale controllo antidroga, potreste risultare comunque positivi alla ricerca di THC sia negli esami delle urine che in quelli del sangue.

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